lunedì 26 agosto 2013

Modesto, il protagonista de “I riflessi dell'essere”, seconda prova letteraria di Rocco Donato Alberti, edito da Albatros, più che un uomo “qualunque”, è un uomo totalmente immerso nella quotidianità del suo tempo, con un istinto di resistenza alla generale decadenza del corpo e dello spirito del mondo globalizzato e informatizzato, che viene dal profondo della sua identità contadina. Resiste a tutto il protagonista, e la ragione di questa resistenza è nelle parole cui consegna la sua identità e la sua possibilità di salvezza: “Io sono un contadino realista. Credo nelle stagioni, nel tempo, nella natura, in Dio.”. Ma non se ne tira fuori con una comoda e sterile assenza o ascesi, bensì assecondandone il linguaggio e le situazioni, dentro le quali scopre, tra le più svariate esperienze negative, fino all'accusa, poi sventata di un omicidio, i percorsi verso l'anima, l'anima sua e quella dell'umanità, i cui riflessi sono per modesto come fari nella notte e trovano nella Luna il simbolo e la guida. Vita vissuta tra la campagna e la città, quella di modesto si costruisce narrativamente attraverso due strade temporali, quella della memoria, antropologicamente strutturata nel suo proiettarsi all'indietro e narrativamente assecondato grazie alla tecnica del flashback, e il tempo multiplo e orizzontale, in cui tutto è irrimediabilmente compresente, della tecnologia avanzata. Tra borgo e città, si diceva, la città è Potenza, rumorosa aspirante metropoli e paesotto vivibile: “Pur amando il mio paese, Potenza stava diventando la mia città. Pochissime erano le macchine, rispetto alle ore di punta dei giorni feriali, tanto che i semafori di domenica erano spenti. Potenza si svuotava dei pendolari e dei residenti che tornavano ai paesi d'origine. Rimaneva un paesotto grande, vuoto, vivibile, senza il soffocante a assordante tumulto del traffico quotidiano.”. La città di Potenza, una città come tante, né tanto grande né tanto piccola, diventa protagonista di una storia di formazione, né tanto interessante, né tanto anonima, insomma una città dove possono capitare avventure, anche sapide, anche raccapriccianti, ma anche salvifiche.
Sesso e miseria spirituale, esasperazione di ogni rapporto, che coinvolge oggetti e persone, i tacchi a spillo e le punte a spadino, i gorgoglii femminini delle ragazze perdute dietro i fetici delle vetrine, figure che sembrano uscite dagli inferi delle metropoli, si accalcano in questo “stracarico deposito urbano” contrapposto alla “parca dispensa di casa”. “Siamo perversi e non liberi". Afferma l'autore o il personaggio che interpreta vedendo un vecchio addosso ad una giovane in vintage stile. C'è un clima di decadenza morale in tutto il libro che rimanda ad un desiderio di purezza, ma anche un grande realismo, la coscienza che tra i propri ideali e la realtà c'è proprio l'insussistenza di quegli ideali. C'è la campagna sana contro la città corrotta, c'è la casa integra di valori contro l'albergaccio in cui si cerca il sesso a pagamento, c'è il lavoro che non c'è contro il desiderio di riconoscersi in un lavoro che dà dignità, c'è l'ordine buono delle regole del vivere civile e c'è la solitudine, l'alienazione che assume il volto di una libertà senza confini e senza vincoli, ma anche disumana e disumanante. Il Portofino, l'albergaccio in cui si vende l'amore, fatte le differenze di soluzioni narrative, mi è apparso come un prolungamento della pensione di via Ripetta a Roma del “Fu Mattia Pascal” di Pirandello, lì Anselmo Paleari rincorre l'occulto, qui Giovanni, con la sua psichiatria visionaria e salvifica, rincorre un altro occulto, quello dell'anima, entrambi, tuttavia, inseguono la possibilità di un superamento della condizione storica e culturale contemporanea. Il delitto entra come una sorta di specchio del tempo, da cui escono intatti il corpo e l'anima vergine del protagonista, e di lì comincia a vedersi la possibilità concreta di una redenzione. Carla, Rosa, Clelia, Regina, Flavia... donne e demoni. Il corpo e l'anima del protagonista messi a nudo dalle donne, nessuna degna, nessuna capace di operare una redenzione, ma in fondo neppure di condurre a termine la dannazione del protagonista, la cui madre resta l'ancora di salvezza, invocata, con un saluto carico di amore e di ingenuità nella frase finale del libro: “Ciao,madre, come sei bella!”.



Rocco Donato Alberti è nato a Calvello (PZ), un paesino della Lucania nel 1965. Si è avvicinato alla letteratura scrivendo alcune commedie comiche in vernacolo, poi rappresentate. Ha collaborato per quasi un biennio con la rivista meridionalista "La Grande Lucania". Attualmente è redattore di un mensile locale. Il suo romanzo d'esordio, edito da Il Filo nel 2007, si intitola Fuga dall'umanità. I riflessi dell'essere è il suo secondo romanzo.

In copertina: Illustrazione dell'Autore, scatto di Roberta Alberti e Marianna Tempone




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Poesia e musica. La mia poesia "Amo la pace" musicata con AI da Velasquez Bonetto alias Laszlo Ordogh

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