mercoledì 26 aprile 2017

Aspettando la 57.Biennale di Venezia, a cura di Elisa Laraia

SPECIALE - Aspettando la 57.BIENNALE DI VENEZIA


51.Biennale di Venezia
Conversazione in Arsenale


Conversazione tra
Elisa Laraia e Isabella Falbo

Rivane Neuenschwander

Isabella Falbo: E’ stato divertente percorrere l'Arsenale, la sezione curata da Rosa Martìnez, che prende il nome dal titolo di un libro di Hugo Pratt: Sempre più lontano. Sono stata piacevolmente sorpresa dall’energia tutta femminile nelle prime sale del percorso espositivo.


Elisa Laraia: Mi ricordo la grinta della Martìnez nella prima conferenza tenutasi ad Artissima a Torino nel Novembre scorso, non avevo dubbi che soprattutto le presenze femminili alla Biennale mi avrebbero confermato questa energia.

I.F.: Il lampadario di assorbenti interni, l’opera di Joana Vasconcelos, appare all’ingresso dell’arsenale come una struttura effimera ed ingannevole, dove tra tradizione e modernità, L’artista comunica con ironia un aspetto dell’evoluzione sociale femminile occidentale. L’opera, con la sua struttura portante in acciaio e quella esterna in cotone, perdendo la sua dimensione oggettuale, diventa inoltre metafora della donne in senso lato: fortissime e delicate.
Joana Vasconcelos

E.L.: Guadando l’opera mi immagino immediatamente di essere nel ventre di questa donna grandissima dalle curve rinascimentali, dai fianchi prorompenti, una Venere di Botticelli contemporanea. Penso alla negazione della maternità per tante donne nella molteplicità dei contesti sociali sempre più difficili oggi.. Penso all’impossibilità di vivere la femminilità sino in fondo anche per tante di noi donne che viviamo, sperimentiamo, ricerchiamo nel mondo dell’arte. La mia mente adagiata sul candore degli ob afferra la struttura d’acciaio portante dell’opera che diventa immediatamente rossa, incandescente.

Guerrila Girls

I.F.: Nella stessa sala, i manifesti delle Guerrilla Girls, circondano e catturano l’attenzione: nello stile delle locandine pubblicitarie degli anni ’60 e ‘70, sfidando l’audience maschile, a vantaggio di noi donne dell’arte. Lanciano slogan di straordinaria attualità nel segno di un nuovo femminismo, contro il sessismo nel mondo delle arti, invitano a riflettere: Devono le donne essere nude per entrare nei musei? La statuetta dell’oscar del cinema è anatomicamente corretta?

E.L.: In effetti la polemica sul mondo dell’arte si espande subito dal lampadario al centro della sala alle pareti, due linguaggi formali totalmente diversi ma entrambi efficacissimi, il pvc coloratissimo delle Guerrilla Girls mi porta subito in strada e le immagino a decorare con molta ironia maschi grattacieli.

Runa Islam

I.F.: Anche nella sala successiva, con il video di Runa Islam, il percorso espositivo rimane sui toni femminili, facendosi tuttavia apparentemente meno battagliero. Be The First To See What You See As You See It, appare come un manifesto di rottura con la tradizione e presenta, avvolta in un’aurea nostalgica, una giovane donna impegnata nella lenta distruzione di porcellane. Le scene enfatizzano quei momenti di impenetrabilità della comunicazione umana, dove solo l’attenta analisi dei gesti permette di decodificare il messaggio.

E.L.: Sono d’accordo, il ritmo narrativo, i movimenti di questo video così rallentati sottolineano ancora un viaggio cauto della donna che, pur vivendo in un mondo che le affida il ruolo di custode, è in grado di rifiutarlo, anche con violenza, peccato che io non ami le gallerie d’arte che si trasformano in set. Interessanti le videoinstallazioni “Scala (1/16= 1 foot)” su due schermi sovrapposti presentate presso la Biennale di Istanbul nel 2003 e SHUGOARTS nel 2004.


I.F.: Nella sala successiva l’universo femminile rientra anche nell’opera dell’artista indiano Subodh Gupta. In scala teatrale, un drammatico insieme di oggetti da cucina ci appare davanti agli occhi, trovando il modo di parlarci nel locale del globale e forzandoci a rivalutare i nostri parametri estetici.

E.L.: E’ il nostro riflesso in questi piatti e tu che mi spieghi il procedimento di creazione del “Curry”, titolo dell’opera, che mi fa porre molte domande, mentre raggiungo la video installazione su due monitor “Ramallah/ New York 2004/2005” di Emili Jacìr, artista giovanissima della Giordania, che mette a confronto identiche situazione che si svolgono in due realtà spaziali diverse, ma che sembrano sovrapporsi perfettamente, dandomi la sensazione della meccanicità dei gesti umani.

 Leigh Bowery

I.F.: Con Leigh Bowery cambiamo completamente dimensione e ci troviamo catapultati nello mondo di una delle icone della Londra alternativa degli anni ’80. Stravagante, esuberante, eclettico e oltraggioso, fece della sua vita un’arte, fino ad esporre se stesso, dall’11 al 15 ottobre 1988, alla Anthony D’Offay Gallery. In esposizione alcuni dei suoi abiti più famosi, autentici pezzi di storia d’arte di vivere.

E.L.: La Londra di quei tempi doveva essere davvero emozionante, trovo che scelte di questo tipo oggi non abbiano più nessuno spessore artistico, in questo millennio in cui la nostra intimità è già così tanto scoperta. Qualche passo più avanti mi riempie di entusiasmo la scultura in fango “Hope Hippo” ippopotamo di dimensioni reali dolcemente adagiato sul pavimento ed il video “…..” nel quale la telecamera da un elicottero descrive il viaggio in mare di un uomo che usa per la navigazione un tavolo rovesciato, mentre il paesaggio deserto ospita rottami di ogni tipo; è l’acqua protagonista di queste opere di Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, acqua capace di dare forma e di condurre idee.


I.F.: Il percorso prosegue al femminile con l’opera della palestinese Mona Hatum, l’installazione + e - appare minimalista, concettuale e raffinatissima.

E.L.: Adoro il suo lavoro così freddo, così rituale, un giardino zen che si ricrea continuamente. Mi fa pensare a Rebecca Horn, a Gino De Dominicis.

I.F.: Una delle opere più divertenti della biennale è certamente Quest, della serie Little Men, presentata dal gruppo russo Blue Noses. L’ istallazione formata da 12 scatole di cartone cattura subito l’attenzione per i pigolii e le risatine che fuoriescono da esse, avvicinandosi e sporgendosi all’interno ci si accorge che contengono piccole figurine umane, proiettate in loop, colte durante la loro corsa nella vita. E’ un opera dai molteplici contenuti, in chiave ironica e parossistica, sul percorso vitae dell’uomo contemporaneo.

Blunoses

E.L.: Sicuramente divertentissimo, ironico…donne nude che aspettano sorridenti di essere prese da uomini con boxer che simulano l’atto sessuale, per poi continuare la loro corsa verso la ciclicità della vita; in forte contrapposizione con “Cube Venice”, il progetto serissimo di Gregor Schneider, che vorrebbe costruire in Piazza San Marco un enorme cubo nero riproponendo il modulo architettonico della Ka’ba; mi interessa molto l’idea di proporre progetti che interferiscono in maniera forte con la vita dei luoghi e degli uomini che li ospitano. E credo che sia giustissimo esporre un progetto al pari di un’opera d’arte compiuta, è per me più stimolante, infatti, poterne ipotizzare il percorso, collaborare con l’artista a rendere concreta l’opera, anche se soltanto attraverso le vie immateriali dell’immaginazione.

I.F.: Gli agglomerati di Jhon Bock, che siano le cataste di panni stracci o i macchinari dell’assurdo, sono costruzioni dell'immaginario che paradossalmente ci aiutano a capire meglio la realtà, sono metafore della molteplice complessità del nostro momento storico. In esse possiamo leggere la disperante condizione esistenziale contemporanea, il qui ed ora schizofrenico e confuso e ritrovare i simboli senza vita della società passata.

E.L.: Trovo molto interessante il lavoro di Bock, la sua sensibilità è talmente distante dalla mia che mi cattura, il caos che pervade la sua opera appare assolutamente necessario. Ricordo la mostra presso la Stazione Centrale di Milano, lo scorso novembre, organizzata dalla Fondazione Trussardi, anche lì, nonostante fossero esposti solo video, la polvere e le protuberanze falliche dei suoi costumi pervadevano lo spazio.

Mariko Mori

I.F.: Mariko Mori, presentando il suo “Wave UFO”, astronave cornucopiforme a grandezza naturale, sembra incitare al viaggio, o alla fuga, in uno spazio tutto celebrale. Opera creata nella logica di un’arte fruibile e interconnessa con lo spettatore, offre la possibilità dell’esperienza di penetrare l’opera d’arte.
E.L.: Il mio amore per la fantascienza mi rende felice alla vista del lavoro di Mariko Mori, l’impatto visivo dell’esterno fa scomparire ogni cosa alle mie spalle, mi porta in un mondo diverso, sento forte la sospensione nello spazio, il viaggio al suo interno mi fa perdere l’equilibrio; si legge dal colore rosso che appare solo per un attimo nella proiezione delle onde alfa del mio cervello, nessuna claustrofobia, nonostante che il pulsante verde tra i piedi bianchi la suggerisse, anzi il desiderio di costruire qualcosa che sia ancora di più oltre, oltre il futuro.

I.F.: La poesia, la meraviglia e il fascino dei fondali marini, attraverso l’uso del linguaggi visivi di Jun Nguyen-Hatsushiba si caricano di una intensità ed evocatività tale da rendere lo spettatore immediatamente partecipe. Colto da un sentimento panico si trova a commemorare momenti della tradizione vietnamita, a condividerne i valori.

E.L.: Credo di essere nell’arsenale oggi soprattutto per fruire del suo video, mi aveva colpito moltissimo a Miami nella Collezione Rubell all’interno del progetto curatoriale di Luisa Lagos Memorials of Identità. Sempre sul fondo del mare, uomini creavano percorsi a bordo delle classiche biciclette carrozza Giapponesi, la vita quotidiana subacquea, una idea di opera d’arte delicatissima che ci porta a scoprire noi stessi attraverso il suono del nostro respiro.
Costruendo crafting dramatic ensembles of objects
 
Conclusioni

I.F.: Un percorso felice, nel quale si incontrano o si ripercorrono gli stati d'animo della vita, si ritrovano le diverse culture nazionali, si gioca imparando.
craftig dramatic ensembles of objects

E.L.: Una Venezia indimenticabile.















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Poesia e musica. La mia poesia "Amo la pace" musicata con AI da Velasquez Bonetto alias Laszlo Ordogh

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