Ci si avvicina alla chiusura della scuola, una scuola profondamente diversa quella cui
eravamo abituati. Per un bilancio dovremo forse aspettare la chiusura dell’anno
scolastico e valutare anche come è stato affrontato il tema delle valutazioni.
Intanto abbiamo voluto ascoltare il parere di alcuni protagonisti del mondo
della scuola e dell’università. Esperti
e studenti cosa pensano della
scuola a distanza e della Didattica A Distanza?
Il parere degli esperti
Luigi Catalani
Bibliotecario
L’emergenza sanitaria ha provocato uno strappo al mondo della scuola, alle sue consuetudini, imprimendo un’accelerazione forzata, quasi violenta al processo di digitalizzazione del sistema educativo, mettendo a nudo le criticità ma anche le potenzialità della didattica a distanza. Ha reso più evidente la questione del digital divide: non tutte le famiglie possiedono gli strumenti per fruire della formazione a distanza, non tutte le scuole hanno messo a punto una strategia ponderata e condivisa di formazione a distanza, non tutti gli insegnanti hanno acquisito le conoscenze e competenze necessarie per individuare le applicazioni e le piattaforme più adatte alle proprie esigenze. La questione non è solo tecnologica, è soprattutto pedagogica. Il nuovo ambiente formativo, al quale tutti hanno dovuto adeguarsi, impone una riflessione radicale sulla quantità e sull’accessibilità dei contenuti didattici, sull’adozione di metodologie in grado di favorire il coinvolgimento attivo degli studenti, sul capovolgimento del tradizionale ciclo dell’apprendimento che non è più un’opzione ma una necessità. Nella sua eccezionalità, quella che stiamo vivendo è un’occasione unica per ripensare metodi e funzione delle agenzie educative, per sostituire la logica degli adempimenti con quella della cultura intesa come esercizio del pensiero critico, per uscire dalla comfort zone dell’aula fisica e dei supporti cartacei e abitare con uno sguardo nuovo il nostro tempo, la cui dimensione sociale, lavorativa ed educativa è frutto della continua interazione tra la realtà offline e la realtà online. Le nostre vite, le nostre relazioni, le nostre comunicazioni sono già digitali, senza per questo aver smesso di essere anche analogiche. L’emergenza ci ha fatto notare tutto d’un colpo che i processi educativi non possono fare eccezione: su questo riconoscimento è possibile, forse doveroso, costruire una scuola più orgogliosa e consapevole della sua missione e del suo ruolo sociale.
Il parere degli esperti
Luigi Catalani
Bibliotecario
Coordinatore
nazionale area didattica Wikimedia Italia
Docente Informatica per le scienze filosofiche Unibas
Il parere degli esperti
Emilio Lastrucci
Docente di Pedagogia Sociale e Pedagogia Sperimentale
Dipartimento di Scienze Umane – Università della Basilicata
Docente Dottorato di Ricerca in Psicologia dello Sviluppo e Ricerca Educativa, Facoltà di Medicina e Psicologia, Università “La Sapienza” di Roma
Presidente Nazionale Associazione Pedagogica Italiana
Consulente scientifico del MIUR
Il processo di
diffusione a livello di sistema delle tecnologie didattiche (TD) e della
Formazione Aperta e a Distanza (FAD, acronimo che all’origine rendeva nella
lingua italiana quello utilizzato per la lingua inglese ODL, Open Distance Learning, adottato per
denotare la prima importante esperienza di didattica universitaria a distanza,
la Open University) nel nostro Paese
ha avuto avvio durante il Dicastero di Luigi Berlinguer (I governo Prodi,
1996-1998), il quale varò, impegnando un ingente investimento di risorse
finanziarie, tecnologiche e professionali,
il Piano per lo Sviluppo delle
Tecnologie Didattiche (PSTD) , rivolto all’intero sistema scolastico, ed
istituì la Commissione UNIFAD, assegnandole il compito di elaborare un progetto
di riorganizzazione del sistema universitario che contemplasse in misura
consistente l’erogazione di attività a distanza, già parzialmente sperimentate
attraverso l’attività del “Consorzio Nettuno” e del CUD (Consorzio per
l’Università a Distanza, con sede a Cosenza), grazie alla collaborazione
stretta con la RAI.
Quale consulente
scientifico del Ministro (che ricopriva la carica tanto per la pubblica
istruzione quanto per l’università e la ricerca), ho contribuito in prima
persona sia alla fase elaborativa sia a quella attuativa, su questi vari fronti,
di questo processo di rinnovamento, che assumeva una valenza strategica nel
progetto di riforma, sia del sistema scolastico-formativo (riconoscimento
dell’autonomia scolastica e riordino dei cicli) sia di quello universitario,
che fu promosso e (solo in parte) attuato da quel governo.
Il PSTD mirava,
fondamentalmente, a conferire alla scuola un ruolo di protagonista e
propulsivo, piuttosto che di istituzione destinata a subire ed inseguire, in
una posizione permanentemente arretrata e conservatrice, il processo, sempre
più accelerato, di profondissima trasformazione culturale e della vita civile
determinato dall’avvento delle Tecnologie dell’Informazione e della
Comunicazione (TIC). Tale scopo veniva conseguito in due fasi, denominate Piano
A (formazione delle competenze informatiche e telematiche dei docenti) e Piano
B (dotazione di spazi – cioè il laboratorio informatico – e attrezzature) di
ogni istituzione scolastica.
La commissione UNIFAD
(nella quale ho ricoperto il ruolo di vice-coordinatore, affiancando il mio
collega Lucio Pagnoncelli, pedagogista della Sapienza – università presso la
quale in quegli anni anche io operavo, poco prima di trasferire la mia sede
presso l’ateneo lucano) aveva anch’essa un fine molto ambizioso, proponendosi
di estendere la frequenza dei corsi di laurea e la partecipazione all’alta
formazione a categorie sociali che, in ragione di varie condizioni di svantaggio
(studenti lavoratori, residenti in località periferiche rispetto ai centri nei
quali erano ubicati gli atenei, disabili ecc.), erano fino a quel momento
rimaste escluse dai circuiti della formazione terziaria.
Nell’ultimo lustro
l’impegno dei vertici del sistema scolastico-educativo per potenziare il ruolo
delle tecnologie didattiche nell’offerta formativa ha trovato decisiva conferma
attraverso l’attuazione del Piano Nazionale per la Scuola Digitale (PNSD),
avviato con la riforma de “La buona scuola” (L. 107/2015).
Fino a qualche mese fa,
il quadro dello stato di sviluppo della didattica digitale nel tessuto
scolastico ed universitario nazionale, registrabile attraverso alcuni
indicatori utilizzati nella valutazione di sistema, sembrava decisamente incoraggiante,
anche se la vivacità del dibattito attorno ad una serie di nodi problematici
denunciava in modo evidente come “l’infatuazione elettronica” nascondesse
criticità e zone d’ombra che richiedevano di essere indagate e valutate in
forma più meditata ed approfondita. Tale dibattito ha avuto punte di aspro
contrasto, in particolare, nel confronto fra i sostenitori dell’ottimistico
approccio BYOD (Bring Your Own Device)
e coloro (fra cui chi scrive è stato in prima linea) i quali, valutando i
risultati di rigorose ricerche condotte sul campo, hanno cercato di evidenziare
gli inquietanti effetti, e gli ancora più preoccupanti rischi, dell’immersione
dei giovanissimi (soprattutto i cosiddetti post-Millenials)
nella comunicazione virtuale, attraverso
la quale viene gradualmente ad indebolirsi la sana consuetudine ad una vita di
relazione esperita in contesti aggregativi e comunicativi legati al vissuto
reale, nonché, per conseguenza, a degradarsi il valore, la profondità e la stabilità delle relazioni
inter-umane.
L’emergenza sanitaria,
che ha imposto a tutte le istituzioni educative, dall’oggi al domani, di
gestire l’attività didattica completamente a distanza, per un periodo la cui
esatta durata non siamo in grado allo stato di stabilire, ha indubbiamente
costituito quella condizione critica il cui impatto svolge anche la funzione di
mettere alla prova l’effettiva capacità del sistema di gestire il proprio
servizio e conseguire i propri fini istituzionali attraverso la padronanza dell’innovazione, mettendo in
campo tutte le risorse (strumentali/tecniche e professionali/umane) di cui
dispone ed avvalendosi dell’esperienza maturata in circa un quarto di secolo di
faticosa e spesso tormentata appropriazione e declinazione a fini
didattico-educativi dei risultati e dei prodotti più avanzati della
comunicazione digitale.
L’emergenza della
pandemia ha sicuramente posto la scuola ed il mondo della formazione di fronte
alla sfida decisiva con la tecnologia.
Se, dopo oltre un mese
di scuola ed università a distanza full
time (che rappresenta comunque un arco temporale troppo limitato per poter
eseguire una verifica adeguatamente approfondita e documentata, ma tutto
sommato sufficiente per poter iniziare a mettere a fuoco problemi e difficoltà
più vistosi ed indicare conseguentemente qualche possibile strategia di
miglioramento), mi si chiede di tracciarne un primo bilancio e valutare quanto
queste istituzioni fossero realmente preparate ad affrontarla, nonché il valore
degli esiti finora conseguiti, non posso esimermi dal porre in risalto il
rivelarsi di alcune criticità che, ancorché ad un livello di prima generale
impressione, rendono questo bilancio, tutto sommato, piuttosto deludente.
Attraverso i miei primi
studi e le mie prime pubblicazioni scientifiche sulla formazione a distanza,
connessi a quelli degli allora più avanzati centri di ricerca nazionali (come,
ad esempio, per una lunga fase, il CNR di Genova e l’Istituto “S. Anna” di Pisa),
si era pervenuti a schematizzarne le diverse forme, in funzione del combinarsi
di tre parametri fondamentali: tempo reale o differito dello scambio dei
messaggi, interattività ed utilizzo combinato o meno di tracciati audio e
video.
Già da allora avevo
cercato di mostrare che la forma più evoluta di didattica a distanza, che
riproduce la forma più avanzata di quella in presenza, sia costituita dalla
modalità sincrona-interattiva audio/video, permessa dall’utilizzo di programmi
e piattaforme, di livello più o meno professionale, per lo svolgimento di
teleconferenze o (secondo un neologismo di recente introdotto) webinar. Da una ricognizione eseguita su
alcune istituzioni scolastiche e universitarie (che non costituiscono un
campione rappresentativo, per cui la rilevazione non consente generalizzazioni,
ma riveste comunque una funzione indicativa) risulta che solo una quota
minoritaria dei docenti si avvale di questo tipo di strumenti, praticando
prevalentemente forme di didattica asincrone ed a bassissima interattività, che
vanno dal fornire materiali di studio ed assegnare compiti per accertarne l’assimilazione
alla registrazione audio o audio/video di lezioni frontali da fruire in forma
asincrona.
Ritengo che la
teleconferenza (sincrona, interattiva, audio/video), se effettivamente
sfruttata in tutte le sue potenzialità, permette di realizzare una didattica
frontale o cooperativa (o addirittura stile flipped
classroom) esattamente come in una situazione in presenza (considerando che
le percezioni tattili, olfattive e gustative, che è impossibile riprodurre a
distanza, non hanno una funzione determinante per larga parte della didattica,
se si escludono alcuni casi particolari come, ad esempio, le lezioni di cucina
in un istituto alberghiero o le attività di laboratorio in un istituto tecnico
o professionale o nella facoltà di ingegneria,
ovvero in sede di tirocini e lezioni pratiche, come per l’attività
settoria o quella clinica per gli studenti di medicina) ed anzi, permettono addirittura l’uso di strumenti ausiliari che
arricchiscono la lezione. Durante le mie lezioni a distanza io uso, ad esempio,
scrivere od elaborare schemi su una whiteboard
il cui contenuto viene salvato in un file, consento ai miei studenti di intervenire
con osservazioni, commenti, richieste di chiarimento e approfondimento ecc. e
permetto loro di registrare queste osservazioni anche sulla chat durante lo
svolgimento della lezione, senza interrompere quest’ultima, per poi valutare
collettivamente queste annotazioni a margine alla fine della lezione, come si
farebbe in un’attività di brain-storming.
La video-lezione viene comunque registrata e tutti i materiali prodotti durante
il suo svolgimento, così come altri materiali citati o pertinenti, vengono resi
disponibili in un contenitore (drive condiviso o classe virtuale o canale
Youtube), cui gli studenti hanno libero accesso continuo, cosicché possono
fruire della lezione o di sue parti quante volte desiderano, ovvero quelli che
non hanno potuto partecipare sincronicamente possono comunque seguirla in
differita.
In tal modo la perdita
della video-lezione rispetto alla lezione in presenza si azzera pressoché del
tutto, presentando, anzi, la prima alcuni notevoli vantaggi (in particolare, risparmio
del tempo e dei costi di spostamento fra abitazione e sede della didattica) ed
alcuni “valori aggiunti”, come la possibilità di fruire più volte di
quell’intervento formativo ed eventualmente (in forma asincrona) negli orari
preferiti, se quelli della lezione in modalità sincrona coincidono con altre
attività.
Ciò non significa, a
mio modo di vedere, che valga la pena sostituire completamente con attività a
distanza l’esperienza formativa in presenza, che si svolge nell’ambiente fisico
deputato, il quale, oltre che un ambiente di apprendimento rappresenta anche un
contesto fondamentale di socialità, e quindi di vita. Le relazioni inter-umane,
di tipo orizzontale (fra pari) o verticale (fra docenti e discenti), rivestono
infatti, in ogni caso, una funzione decisiva, oltre che ai fini dell’efficacia
dell’esperienza formativa, anche come esperienza di vita. Da tale punto di
vista, perciò, l’esperienza educativa vissuta nel contesto della comunità educante, risulta
irriproducibile – anche con le tecniche più evolute e raffinate - ed
insostituibile.
Dal diario di un docente/genitore nella scuola digitale
“Nella fase emergenziale che stiamo vivendo,
- ci dice A. Z. (le lettere simbolicamente vogliono rappresentare una
condizione diffusa) - anche al netto delle indicazioni ministeriali, la scuola
ha sin da subito svolto il proprio ruolo di Comunità educante. Le maggiori criticità dal punto di
vista degli studenti e delle famiglie le riscontro nel fatto che la didattica a
distanza non si presenta per nulla inclusiva, anzi ha aumentato il divario
sociale e rigettato indietro i più deboli e vulnerabili. Non è solo la mancanza
di un device il problema, il che aggrava la condizione di molte famiglie in cui
si vive anche il problema della perdita di lavoro da parte dei genitori. I ragazzi
delle scuole secondarie di II grado sono più autonomi nel gestire le tecnologie,
meno gli alunni delle secondarie di I grado, molto meno o per nulla gli alunni
della primaria, e non è detto che i genitori siano in grado di scaricare
un’applicazione per la didattica a distanza. A rischio di emarginazione sociale
sono in particolare i bambini/ragazzi con disabilità o altri BES. Tra i docenti
vanno distinti coloro che sono più esperti delle nuove tecnologie e altri che
sono abituati a una didattica tradizionale, non manca anche il problema della
Privacy e del trattamento dati, affrontato spesso con scarsa consapevolezza. A
tal proposito il Garante per la privacy è intervenuto il 30 marzo, lasciando
ampio margine alle singole istituzioni scolastiche. L’ampia discrezionalità nell’uso
delle piattaforme (da Skype a Zoom a WatsApp oppure quelle collegate ai
registri elettronici), non risolve i problemi di spazi in casa e di
condivisione di devices. Quanti dovrebbero essercene, ad esempio, in una casa
in cui c’è una madre insegnante, un padre in smart working e tre figli in età
scolare? Per tale ragione io, che sono anche genitore con la necessità di
seguire i miei figli più piccoli nello svolgimento dei compiti, devo scegliere
di fare lezione nel pomeriggio, affinché non vi sia contemporaneità con i
figli. Tutto si può risolvere, potendo attingere alla tecnologia con l’aiuto
delle istituzioni e della associazioni che non sono assenti, ma la scuola in
presenza è un’altra cosa. E speriamo -
ha concluso A. Z. - che quando ci torneremo, lo faremo con maggiore
consapevolezza.”.
Dal diario di una madre ingegnere
Angela Loscalzo è madre di due gemelli, che frequentano la 5
classe della primaria dell’I.C. “Luigi La Vista” di Potenza. Questa a sua
testimonianza sulla scuola a distanza. “Mio marito - ci ha detto Angela
Loscalzo – mi ha detto candidamente che non saprebbe seguire i figli nelle
attività scolastiche a distanza, una scusa? Non lo so. Certo è che io
personalmente non mi sono sottratta a questa nuova “responsabilità”. Preciso
che non sono una mamma-drone, seguo alla lettera il regolamento che chiede di
non assistere alle lezioni delle maestre, perché il rispetto dei ruoli sia
pieno e i ragazzi continuino a distinguerli nettamente. Quello che mi colpisce,
nel momento in cui aiuto i miei figli a connettersi con la classe, è la loro
felicità nel rivedersi tutti insieme, i saluti affettuosi tra loro, e l’impegno
delle maestre a partecipare al rito del ritrovarsi, benché a distanza, con il
sorriso e con frasi di incoraggiamento. Non parlo della didattica, non entro
nel rapporto tra i miei figli e le maestre per salvaguardarne l’autorevolezza,
che è parte integrante del loro ruolo. È chiaro che durante il collegamento si
è impegnati, perché bisogna rimanere in prossimità, per eventuali difficoltà di
connessione, e che nello svolgere i compiti pomeridiani la presenza del
genitore sia necessaria più di prima, poiché il tempo delle lezioni è breve, e questo
richiede che per qualche aspetto il ruolo della madre, nel mio caso, si integri
con quello dell’insegnante nello svolgimento dell’assegno. Non riesco a
immaginare – ha concluso Loscalzo - come sarebbe la giornata dei miei figli
senza questa prosecuzione di spazio scolastico. La scuola è indubbiamente
presenza, e ad essa i miei figli torneranno con gioia, ma oggi abbiamo imparato
ad apprezzarne la capacità di adattamento alla situazione a distanza che si è
creata con il covid-19, e per questo voglio fare i miei complimenti alle
maestre, soprattutto, per quanto fanno per creare intorno ai bambini serenità nella
prosecuzione di un clima di socialità.”.
Il parere di studentesse IPSSEOA
“Umberto Di Pasca”, Potenza
La didattica a
distanza è un ottimo metodo per rimanere vicini anche se lontani in questo
periodo così difficile, certamente non ci rende felici vedere professori e
compagni soltanto tramite uno schermo, è difficile apprendere i concetti come
li apprendiamo in classe, ma è molto utile avere tutti i mezzi a disposizione
per ricerche, scoperte nuove e aggiornamenti su programmi che avevamo a
disposizione ma non sapevamo come utilizzare. (Noemi Pace, IV D).
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Trovo molto utile il
fatto di poter ricevere un'istruzione anche a distanza, grazie alla tecnologia
moderna, ma trovo insoddisfacente il non poter interagire direttamente con i
professori, parlare ad uno schermo non è la stessa cosa. L'unico suggerimento
che vorrei dare è quello di resistere, è difficile sia per noi studenti che per
i docenti non avere un contatto tra i banchi di scuola, ma la didattica a
distanza è sempre meglio di niente. (P. E., III B)
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Credo che nessuno di noi si aspettasse che all’improvviso
tutto sarebbe cambiato. E’ cambiata la nostra quotidianità la mattina ci
svegliamo e dopo la colazione non usciamo più di casa per recarci a scuola ma
ci spostiamo semplicemente dalla cucina alla scrivania per accendere il
computer e per fare le video lezioni. Personalmente non mi sarei mai aspettata
di dover affrontare tutto ciò ma nonostante la presenza di questo virus di cui
noi siamo prigionieri non ci arrendiamo. Credo che la
didattica a distanza serva assolutamente più di qualsiasi altra cosa in questo
periodo perché solo così possiamo restare tutti uniti e possiamo continuare a
svolgere quello che ad oggi è il nostro dovere. Mi manca molto l’ambiente
scolastico, mi mancano i miei compagni di classe e tutti i professori, ma
fortunatamente la tecnologia ci sta tenendo uniti più che mai! (Desirè Marino
1D)
Antonio Marsicano, Segretario della Rete degli Studenti Medi di Basilicata
Ad Antonio Marsicano, Segretario della Rete degli Studenti
Medi di Basilicata, che frequenta il liceo Classico di Viggiano, abbiamo
chiesto quale sia la posizione della Rete sulla scuola a distanza.
Negli ultimi giorni
gli istituti di tutta la regione si sono adoperati, più o meno prontamente, per
attivare diverse metodologie di didattica a distanza, che spesso però vanno a
cozzare con le necessità e con le possibilità del corpo studentesco. Molte sono
state le lamentele indirizzate a questo sistema di didattica “innovativa” in
questi giorni di emergenza: studenti da tutta la regione denunciano come sia
difficile connettersi alle lezioni senza una buona rete a disposizione, come
non tutti abbiano a disposizione un pc dal quale seguire e soprattutto come
buona parte dei docenti non sia pronto ad attuare questo tipo di didattica in
risposta alla situazione contingente, lasciando gli studenti in balia di
indicazioni confuse e distribuite sui vari mezzi che il web ci offre. Il quadro
offerto dalla situazione lucana non è dovuto solamente alla difficoltà della
scuola a rispondere ad un contesto di emergenza, ma sottolinea dei deficit
presenti sul tessuto scolastico ed infrastrutturale. Le colpe non sono dei singoli
docenti, bensì del fatto che la scuola italiana, e nel particolare quella
lucana, è rimasta profondamente ancorata a sistemi d’istruzione verticale, a
modalità didattiche ferme allo scorso secolo, lente rispetto agli standard
europei e che mostrano, proprio in questi momenti di necessità, tutte le
proprie lacune. E sul piano locale può essere ugualmente utile ricordare i
forti ritardi del nostro territorio per quanto riguarda l’infrastrutturazione
di base, come una buona connessione, che ancora manca.
Come pensa
la Rete degli Studenti Medi che si possa ovviare a queste difficoltà?
Il Coordinamento
Regionale delle CPS della Basilicata indica una serie di linee guida per l’USR
della Basilicata, la Giunta Regionale della Regione Basilicata, nella persona
dell’assessore alla formazione e allo sport Sig. Francesco Cupparo, frutto ed
espressione del dialogo tra i rappresentanti degli studenti lucani nelle CPS e nelle
associazioni studentesche.
Quali, in
sintesi, tali linee guida?
Certamente il coinvolgimento
della rappresentanza studentesca nella strutturazione della didattica a
distanza in ogni istituto e che l’uniformità dei mezzi e delle piattaforme
siano alla base dell’attuazione delle metodologie didattiche, per evitare che
uno studente in ogni giornata scolastica debba dibattersi tra i più svariati
siti ed applicazioni, è utile, a tal fine, un’uniformità di piattaforme a
livello di Consiglio di Classe, o anche d’Istituto; rispetto della scansione
temporale utilizzata in regime di normalità scolastica, al fine di evitare lo
svolgimento di lezioni in qualsiasi momento della giornata, facendo attenzione
a garantire agli studenti un numero di lezioni quanto più vicino al monte ore
già istituito per legge; attuazione per gli studenti delle stesse misure
attuate per i lavoratori che utilizzano videoterminali (dlgs 81/2008, art.
1 L. 123/2007); verifiche tramite le
piattaforme online alla presenza di
testimoni; attenzione a che non si usino metodi discriminatori nei confronti di
coloro che non dispongono di mezzi adatti a seguire le lezioni online; facilitazione
delle modalità di comodato d’uso di strumenti per la connessione alle
piattaforme per gli studenti con difficoltà fisiche ed economiche, come già da
nota del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del
17/03/20; indicazioni operative dell’USR ai docenti per lo svolgimento delle
lezioni, affinché ognuno possa, anche senza troppe competenze informatiche,
svolgere correttamente il proprio lavoro.
Come
concretamente potreste intervenire per
rendere operative queste proposte?
Chiediamo che venga
istituita in seno all’USR una commissione regionale di monitoraggio sulla
didattica a distanza che coinvolga anche i rappresentanti degli studenti per
ottenere un quadro completo della situazione d’emergenza in regione e quindi
sul rispetto da parte delle scuole anche delle linee guida indicate dalla Rete.
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