CON SEBASTIANO “ENZO” VILLANI ALLA SCOPERTA DELLA “PRESENZA” DI DANTE IN BASILICATA TRA SCRITTURA E ICONOGRAFIA
Con Sebastiano “Enzo” Villani
È davvero un’impresa condensare in una breve recensione la pienezza di spunti del volume, freschissimo di stampa, Dante per immagini in Basilicata e altri saggi iconografici di Sebastiano Villani, Edizioni dell’Orso, 2025, tuttavia l’opera merita questa sfida, con le sue 334 pagine di scrittura densa e documentata e 211 immagini rigorosamente commentate.
La
quarta di copertina del volume offre a chi affronta la complessa articolazione
tematica del testo di Villani auctor
una sintesi che, come una cartina geografica della Basilicata, fa da guida a
chi legge:
In un gioco a cerchi concentrici che da Stigliano – coi suoi murales e la sua Assunta ispirata alla Beatrice di Doré per Purg. XXX, si allarga senz'altro ai borghi vicini. Pietrapertosa, in primis, col suo Caronte in tutto michelangiolesco e i chiari riferimenti all'ascesa purgatoriale del suo Giudizio universale cinquecentesco
Ma, poi, per esempio, anche a San Martino d'Agri, con la sua citazione, almeno involontaria, di Par. XI e XII, nell'incontro in sogno fra san Domenico e san Francesco affrescatovi nel chiostro francescano primo-settecentesco. E naturalmente anche Moliterno e Orsoleo, con il loro San Bartolomeo scorticato come fosse un Marsia cristiano, già così proposto dal Michelangelo lettore di Par. I, 19-21. E infine, Palazzo San Gervasio col suo exemplum di clemenza/continenza di Scipione del solimenesco Felice Fischetti; e poi Tricarico, col suo San Giuseppe, anch'esso michelangiolesco, della Fuga in Egitto manierista nella chiesa del Carmine, senz’altro cooptabile fra gli antenati del Dante penseur di Rodin (1880). Un viaggio, quello proposto in questo volume, che di necessità incrocia altre grandi narrazioni: dal Paradiso perduto miltoniano – con la sua acclarata fonte lucana, l'Adamo perduto di Serafino da Salandra – fino ai Promessi Sposi e alla loro inattesa ricezione in due tele di soggetto manzoniano, sin dall'origine (1860 ca.) esposte nel palazzo Materi di Grassano. Insomma una sorta di grand tour, su una pur modesta scala regionale, non avaro di ulteriori sorprese come quella del cimitero di Gorgoglione – dismesso nel 1978 – sicuramente pensabile come una sorta di Spoon River lucana, se con Pavese, l'Antologia di E. L. Masters può davvero leggersi come una piccola "divina commedia". Che ritroviamo al centro di una delle esperienze didattiche pure raccontate in questo volume, dove ugualmente ritornano in primo piano le immagini, per la loro suscettibilità di dialogare reciprocamente, fuori dai tradizionali confini tra epoche, cultura alta e bassa e bello e brutto.
Quest’ultima annotazione rimanda ancora all’identità del Villani agens, Direttore didattico sempre attento a costruire occasioni di ricerca e di approfondimento di temi e linguaggi espressivo - comunicativi, e dunque opportunità formative di quelle stesse competenze e curiosità intellettuali condensate in questo volume in una costruzione intrigante, fatta di percorsi aperti a possibili nuove e originali riletture del Dante visualizzato e del Manzoni «autore-illustratore» di se stesso, entrambi tracciabili anche nel territorio lucano. Prima di chiudere questa lettura necessariamente sintetica del volume, abbiamo chiesto di Villani di far egli stesso da guida al lettore, segnalandogli alcuni punti focali della sua ricerca. Un discorso a parte – ha affermato Villani - meriterebbero, naturalmente, le 72 tavole a colori riunite da Villani in fondo al libro, come una sorta di testo parallelo o un musée imaginaire alla Malraux. Montandovi spesso le immagini in una prospettiva provocatoriamente anacronistica, per sottolinearne la warburghiana capacità auto-riflessiva. Si prenda ad esempio la tavola n. 4. Se da una parte tradizionalmente segnala le parentele iconografiche fra le tre opere confrontatevi – le due Assunte del pittore otto-novecentesco lucano Cosimo Sampietro evidentemente ricalcate sulla Beatrice di Gustave Doré per Purg. XXX – dall’altra, attraverso la sua immagine in basso a destra, essa si propone come un’albertiana «figura della meta-ricezione». Grazie all’omino che materialmente vi sta ricomponendo un’immagine evidentemente smembrata: ovvero la grande Assunta di Sampietro del 1921, già troneggiante nelle volte della chiesa madre stiglianese. Momentaneamente recuperata dal suo deposito di fortuna, essa consapevolmente ci si propone come un’icona dal corpo ferito e disperso, direttamente riportandoci ad un trauma ch’è suo come lo è della memoria culturale lucana: nella quale di diritto rientra come una tappa della ricezione della Commedia illustrata.
Tanto quanto quel murale dell’edizione 2021 del Festival di arte pubblica stiglianese appARTEngo, dove – spiega il suo stesso autore Giovanni Disisto – un giovane uomo pare pronto a «imparare ad indossare i suoi scarponi» per ascendere alle cime. e alle stelle, dalla «selva» in cui ha vagato «senza briglia e senza sella».
Sempre che nella storia del Dante per immagini possano ricomprendersi, come ormai accettato dalla critica, anche evocazioni decontestualizzate di personaggi e/o situazioni dantesche.
Grazie
a Sebastiano “Enzo” Villani per questo viaggio nel territorio lucano, del quale
emerge l’ampiezza del suo panorama culturale con connessioni e suggestioni
divulgate e inedite al più ampio orizzonte nazionale e oltre.





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