Tutto ha un centro, anche se non è posto al centro, il
centro si lascia trovare. Ognuno, infatti, in ogni circostanza, va alla ricerca
di quel punto da cui tutto nasce e si dipana in una trama di parole, di immagini,
di commenti, di sguardi, di complimenti, di incontri … Tutto si dipana da un
centro, e qui, nel volume “Impareremo il futuro tra ucronie e utopie Il virus
del 2020” il centro è senza dubbio il testo di Antonella Pellettieri, che è la
curatrice del volume e della collana MenSaLe in cui è inserito, ”Fonti per la
storia delle epidemie e rappresentazioni della morte” (pag.199), non solo
perché è stata l’ideatrice e l’animatrice del gruppo di scrittori da lei invitati
a dare testimonianza di umane azioni e reazioni, di sguardi introspettivi e
di gesti aperti al mondo intorno, in questa straordinaria occasione di
riflessione sul mondo e su di sé nel mondo. Un mondo, dunque, alla ricerca di
sé e insieme delle ragioni del sopravvivere e del continuare a vivere, nonostante
che la pandemia da covid -19 ci costringesse tra marzo e aprile, giorno dopo
giorno, a scrivere numeri sempre più ossessivi: contagiati, ricoverati, morti,
è vero, anche sopravvissuti, ma questa parola per troppo tempo ha indicato la
via di una speranza troppo labile e incerta.
Sopravvissuti … siamo sopravvissuti … siamo dei
sopravvissuti … con tutte le pulsioni dei sopravvissuti: il desiderio di
scollarsi di dosso le regole di difesa, di pensare ad un futuro più o meno
lontano, più o meno luminoso, dove la morte non occupi tutto l’immaginario né
tutto l’orizzonte concreto tra i nostri monti, oltre i nostri monti, oltre i
continenti, oltre i mari e gli oceani, oltre lo spazio e il tempo …
Immaginare il futuro, costruire almeno i labili contorni del
nostro possibile resistere alla morte, al dolore, alla solitudine, oltre la
malattia, oltre la pandemia, che ci rende deboli tutti, senza più modelli di potenza
e di potere, se non quello di una falce intenta a recidere intrecci di carne e
sangue.
Sarebbe stato possibile immaginare il futuro senza conoscere
il passato? Se non volgiamo lo sguardo al passato e da esso apprendiamo cosa ci
attende oltre la morte, non ciò che attende le nostre anime, ovviamente, che beate
o dannate, disperse in atomi cosmici o reincarnate in altre creature, pur avranno
la loro sorte segnata con chiarezza nell’immaginazione o nelle convinzioni della
fede, ma ciò che attende i corpi dei
nostri figli e delle generazioni che verranno … se verranno …
L’orrore della resa al nulla serpeggia in ogni scritto dei 25
autori sapientemente intrecciati da Antonella Pellettieri in un arazzo dalle
trame ineguali, a volte a maglie larghe, a volte fitte e accavallate, in modi diversi ognuno ha lanciato il suo amo verso il futuro, con un gesto, una parola,
una foto, un ricordo ha aggiunto al lungo filo della storia il suo piccolo,
breve spezzone di filo. Il grande arazzo si è lasciato tessere, leggendo lo
vediamo volteggiare verso un orizzonte indefinito, lo seguiamo con lo sguardo
fino a quando sconfina nei territori dell’imprevedibile, dell’inconoscibile.
A quel punto lo sguardo si volge indietro, preso dal terrore
del vuoto, ed ecco che la storia, la conoscenza della storia lo riconduce sulla
via del futuro possibile.
E’ ad Antonella Pellettieri che dobbiamo la costruzione dell’ordito
su cui si sono intrecciate le nostre parole, è ad Antonella che dobbiamo la sconfitta
del vuoto e il recupero del senso del futuro, nel suo saggio, infatti, la vita riprende il suo corso ogni volta nella
ricostruzione per parole e immagini delle malattie pandemiche o territoriali e
della ricerca di rimedi, dal I sec. a.C. ai giorni nostri, e dell’incredibile
destino di recupero di vitalità di un’Umanità tanto proterva nei confronti della natura quanto da essa messa ricorrentemente
di fronte alla sua debolezza e vulnerabilità.
Sopravviveremo, ci dice la storia, grazie alla ricerca di
rimedi, grazie all’arricchirsi delle conoscenze, ma anche grazie ai gesti comuni
di ciascuno e di tutti, gesti tanto più radicati nel quotidiano quanto più esso
accorcia il suo orizzonte temporale, grazie alle parole che raccontano e che
razionalizzano o che, attraverso la poesia, inseguono l’ossessione dell’eterno
proprio quando domina la precarietà. Ed è così che accade che nei singoli e
nelle collettività la memoria, l’immaginazione, le stesse parole non siano più
le stesse. L’ingresso dello scheletro e del suo valore semantico nell’immaginario
del XIII secolo, le parole che ne accompagnano l’ingresso e la permanenza nella
visione del mondo dei testimoni delle pandemie, ci dicono che mai nulla, dopo
la dura prova di una pandemia, sarà più come prima. Così la storia, come un
film dell’orrore ma a lieto fine, scorre sullo schermo della vita, ciascuno ci
aggiunge un tassello, l’ucronia e l’utopia di cui è autore.
Noi siamo gli autori, grazie ad Antonella Pellettieri, di
tasselli di questa storia. Ci abbiamo messo il nostro sapere e il nostro non
sapere, il nostro agire e la nostra inettitudine, il nostro potere e la nostra
impotenza, le nostre attese e le nostre rese. Ci siamo messi in gioco, e così abbiamo
preso parte al grande rito dell’Umanità che “è sopravvissuta e si è
moltiplicata malgrado egoismi ed errori …”.
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